Per la nostra rubrica “Parola di Chef”, torniamo oggi nel territorio viterbese, a Trevinano per l’esattezza, una frazione del comune di Acquapendente in provincia di Viterbo. Qui, al confine tra Lazio, Toscana e Umbria, abbiamo incontrato la chef Iside De Cesare presso il suo ristorante “LA PAROLINA“.
Il locale, di proprietà della famiglia, nasce dal desiderio di coniugare l’arte della cucina con l’accoglienza agli amici che vengono e tornano a conoscere e a riscoprire il modo di interpretare la realtà che ci circonda. L’arte del “raccontare il territorio”, infatti, è la quintessenza de “La Parolina”.
Chef, raccontaci di quando è scoccata la scintilla con Olio Tamìa
Qui, da sempre, facciamo molta attenzione ai prodotti del nostro territorio. La nostra ricerca è meticolosa, e questo ci porta a partecipare a molti eventi. Durante uno di questi, dedicato alle eccellenze enogastronomiche, abbiamo fatto la conoscenza con Olio Tamìa. È stato una specie di amore a prima vista, che ci ha spinto gli uni verso gli altri in breve tempo.
C’erano, quindi, dei punti che vi accomunavano?
Esattamente, in particolare quello di voler raccontare le caratteristiche e le qualità del nostro territorio, la Tuscia. “Lavorare raccontando”, questo è il concetto che rappresenta la nostra comunione di intenti. Da questo primo punto di incontro ne sono giunti altri, tanto da organizzare anche degli appuntamenti didattici. Insieme a Olio Tamìa, infatti, abbiamo raccontato agli studenti le caratteristiche dei diversi oli, regalando loro emozioni e assaggi di quello che di più buono e genuino il nostro territorio può donarci.
Qual è stata la qualità di Olio Tamìa che hai preferito?
Non posso parlare di una preferenza. Ogni piatto ha il suo olio di accompagnamento, perché deve aiutarlo a esprimersi e a “raccontarsi”.
Ogni qualità di Olio Tamìa è quindi la mia preferita, a seconda del caso. È un po’ come i figli, se vogliamo… ognuno di loro è il nostro preferito!
Ci sembra di capire che l’elemento della narrazione sia fondamentale nella tua cucina.
Assolutamente. Quando un cliente si siede ai nostri tavoli deve poter vivere la sua esperienza e questa deve essere unica. Se una cucina non riesce a raccontare i suoi piatti, i suoi prodotti e la loro lavorazione, allora ha fallito.
Nel caso dell’olio, per esempio, è essenziale saper spiegare quale si sta utilizzando, qual è la sua annata, la sua provenienza… conta anche la stagione dell’anno in cui ci troviamo, perché i piatti cambiano e così lo fanno i loro accostamenti e condimenti.
Un’altra cosa fondamentale, sarebbe quella di costruire il concetto di utilizzare un olio di grande qualità quando si cucina.
Puoi spiegarci meglio quest’ultimo punto?
Si tratta, ancora, di una mancanza di cultura. Non è vero che non si sente, quando si cucina, la qualità di un olio. Anzi, è qualcosa che traspare immediatamente al palato. Non è vero neanche che un olio di qualità costa così tanto rispetto a un olio commerciale.
Si tratta dell’eterno dibattito tra “caro” e “costoso”, legato alla qualità.
Un olio può quindi essere “COSTOSO” senza necessariamente essere “CARO”, come Olio Tamìa, che ci concede il lusso di poter andare a giocare sulle quantità. Non è necessario abbondare quando lo si utilizza, perché il sapore è palesemente tutt’altra cosa rispetto a oli di qualità e costo inferiore, che potrebbero essere comunque “cari”. Sotto questo punto di vista, il ruolo di noi chef e quello dei produttori di “educare” il cliente è fondamentale.
A tuo avviso, Olio Tamìa riesce in questo compito di “raccontare” ed “educare” la clientela?
Assolutamente sì. Come poc’anzi anticipavo, mi è capitato più volte di svolgere incontri e degustazioni con i produttori. Olio Tamìa, inoltre, è particolarmente attento nei dettagli. Lo vediamo nel packaging, per esempio. La Bag in Box da 10 litri per il canale HoReCa è studiata appositamente per essere sempre a disposizione in cucina, senza dover effettuare continui trabocchi. Sono dettagli importanti, che la raccontano lunga sul produttore e sull’attenzione che ripone verso i suoi clienti.